Fonte: laDiscussione del 30 Giugno 2016 – “Credo che ogni femminicidio sia una sconfitta che interpelli tutti e segnala la progressiva perdita di umanità che sembra connotare questa epoca postmoderna e tecnoliquida”. A parlare è il professore Tonino Cantelmi intervistato da Carmine Alboretti per “laDiscussione”.
di Carmine Alboretti
Professore è giusto ritenere il femminicidio una emergenza sociale inevitabile?
Primo mito da sfatare. Giornalisti, per favore, basta con il raptus! Tutto è stato largamente annunciato, tutto era purtroppo prevedibile: no, non si tratta di raptus, ma di catene di dolore che nessuno può o sa interrompere. Certo, questa incredibile cecità ci interroga. In fondo siamo sempre connessi, sempre in relazione, sempre incessantemente lì a twittare, postare, chattare, eppure siamo sempre più soli. E ancora di più: l’elefantiasi dei nostri “Io” ci spinge verso un individualismo esasperato, che sembra soppiantare ogni forma di solidarietà. Ma al netto di tutto ciò, perché il grido di aiuto delle vittime non viene raccolto?
Già, perché?
Forse perché ancora prevale una mentalità derivata da un misto di accondiscendenza, paternalismo e buonismo: “Sì, è un po’ violento, ma su, con un po’ di buona volontà si rimette tutto a posto”. E invece no. Se in una relazione c’è violenza, mi spiace, ma la tolleranza non può che essere zero. E questo vale anche per le donne che subiscono: subire non ha senso.
Come si può fare una efficace prevenzione?
Nel femminicidio assistiamo increduli al cortocircuito del conflitto relazionale: uomini fragili, ma aggressivi, feriti in modo insopportabile nel loro narcisismo e che non possono tollerare la frustrazione relazionale, aggrediscono sino alla morte le vittime, che, a loro volta, non riescono a svincolarsi dalla morsa di una relazione ormai degenerata. In questo c’è una complessiva incompetenza relazionale, che ci spinge a chiederci che tipo di società stiamo costruendo. Un cammino che parte dall’infanzia. Forse dovremmo spostare l’asse già nell’infanzia verso una educazione alla solidarietà ed al rispetto dell’altro, parole queste desuete e soppiantate da altre, come competitività, successo e altre simili. Tutto ciò non può prescindere perciò da una rivisitazione dei percorsi educativi nel loro complesso. Io credo che ogni femminicidio sia una sconfitta che interpelli tutti e che segnala la progressiva perdita di umanità, che sembra connotare questa epoca postmoderna e tecnoliquida.