Fonte: Il Foglio 8 giugno 2017 – Il Garante per la privacy lancia l’allarme pedopernografia e avverte i genitori. Ma, spiega il professor Cantelmi, “dovremmo preoccuparci piuttosto del sexting, un fenomeno in spaventosa crescita negli ultimi tempi. Si tratta della condivisione di selfie scattati in atteggiamenti sessuali espliciti e poi condivisi su chat e forum. In Italia questo è un fenomeno sul quale ci stiamo confrontando in questi mesi e secondo le nostre stime un giovane su tre lo pratica. Se c’è un problema che riguarda l’autoviolazione della privacy e l’abbassamento della soglia del pudore su cui dovrebbe concentrarsi anche il Garante è proprio questo”.
di Antonio Grizzuti
Cosa non si farebbe per un like in più. È questa la motivazione che, probabilmente, spinge molti genitori a condividere foto e filmati dei propri figli sui social network. Dalle foto del pancione che cresce all’immancabile ritratto familiare immediatamente dopo il parto, e poi il primo bagnetto, la prima pappa, il primo dentino, i primi passi… Si chiama sharenting ed è l’abitudine di postare immagini, video e aggiornamenti sui progressi della prole, una prassi talmente consolidata che il celebre dizionario britannico Collins ha deciso di inserirla nella classifica delle parole più gettonate del 2016.
Secondo una ricerca Nominet1, il registro ufficiale dei domini britannici, i genitori postano sui social media circa trecento foto all’anno che hanno come soggetto i propri figli, circa una al giorno, con una prevalenza delle madri rispetto ai padri. I duemila genitori che hanno preso parte allo studio avevano in media quasi trecento contatti ciascuno, metà dei quali in realtà in realtà solo conoscenti, ma una volta pubblicate le foto risultavano visibili a tutta la lista. Inoltre dalla ricerca è emerso che solo il 16% degli intervistati ha chiesto il permesso dei genitori quando si trattava di condividere immagini in cui erano presenti altri bambini.
Tutto ciò evidenzia come ogni qual volta si pubblicano foto di un minore queste finiscono per essere disponibili ad una grande quantità di persone, spesso legate da un legame superficiale. Ma non si tratta semplicemente di un problema di privacy. Nella relazione annuale alle istituzioni, il Garante della Privacy Antonello Soro denuncia la “crescita vertiginosa” della pedopornografia in rete, con due milioni di immagini censite nell’ultimo anno, e attribuisce la colpa di questo incremento ai social network “in cui i genitori postano le immagini dei figli”.
In effetti, come documentato da Cybertip, il sito canadese punto di riferimento nazionale per i dati sullo sfruttamento sessuali dei minori in rete, una pratica in crescita è quella di comporre dei collage con il volto di un minore e il corpo di un altro. Spesso il materiale per questa aberrante deviazione è prelevato proprio dai social media.
Ma l’allarmismo che si è diffuso in seguito alla relazione del Garante è del tutto giustificato? Il professor Tonino Cantelmi, psichiatra e psicoterapeuta specializzato in problematiche legate alle nuove tecnologie, crede di no. “Certamente l’esposizione di immagini di minori non è positiva, ma non è il punto su cui condurre la battaglia. L’allarme della relazione è senz’altro esagerato. Il rischio che le foto vengano prelevate e utilizzate per scopi pedopornografici è relativamente limitato”. Il rapporto annuale della Internet Watch Foundation2 sembra confermare parzialmente quanto affermato dallo psichiatra: dei 54 mila indirizzi internet contenenti materiale pedopornografico censiti nel 2016, solo 643 riguardavano direttamente i social network. La grande maggioranza del materiale – oltre il 90% – è ospitata invece in siti di image hosting.
“Dovremmo preoccuparci piuttosto del sexting, un fenomeno in spaventosa crescita negli ultimi tempi” spiega il professore Cantelmi. “Si tratta della condivisione di selfie scattati in atteggiamenti sessuali espliciti e poi condivisi su chat e forum. In Italia questo è un fenomeno sul quale ci stiamo confrontando in questi mesi e secondo le nostre stime un giovane su tre lo pratica. Se c’è un problema che riguarda l’autoviolazione della privacy e l’abbassamento della soglia del pudore su cui dovrebbe concentrarsi anche il Garante è proprio questo”.