Al Regina Elena si “sogna insieme”

Fonte il sole24ore Sanità del 1 ottobre 2013 – Sognare, ma in gruppo. Collegare insieme immagini e fantasie. Riconoscere i sogni comuni e riprodurre le stesse atmosfere: sognare una seconda volta, insieme. Per affrontare meglio la sfida del cancro e della vita in ospedale. E per tenere lantana l0 spettro della depressione, sempre in agguato. 
Si chiama “Ti racconto un sogno” il progetto pilota di umanizzazione delle cure messo a punto dall’equipe dell’ Area di supporto alla persona degli Istituti Regina Elena e San Gallicano di Roma e partito il 30 settembre. Aperta a pazienti, familiari e operatori sanitari, l’iniziativa prevede un ciclo di “gruppi esperienziali” basati sull’applicazione della tecnica del social dreaming: un metodo di lavoro di gruppo che valorizza il contributo che i sogni possono offrire non soltanto per la comprensione del mondo interiore dei sognatori, ma anche della realtà sociale in cui vivono e si muovono. 
«Recuperando I’approccio delle culture tribali e delle civiltà antiche in cui i sogni venivano raccontati e discussi come chiavi per leggerne i significati simbolici -spiega Tonino Cantelmi, responsabile dell’ Area di supporto alla persona – i sogni possono essere considerati come espressioni di desideri e di fantasie di un certo individuo ma anche come speciali rappresentazioni di punti di vista e idee sulla comunità in cui vive e delle organizzazioni a cui appartiene. La nostra esperienza mostra che l’ospedale può diventare un vero e proprio crocevia di interazioni caricate di valenze e attese non sempre reali». 
Suggestiva l’ipotesi di fondo: la rielaborazione dei vissuti legati al tumore, stimolata dalla condivisione collettiva dell’immaginario onirico, può rappresentare uno strumento per riqualificare la comunicazione e la relazione tra malati, familiari, equipe sanitaria e volontari. E quindi per umanizzarla 
In gioco non c’e alcuna interpretazione dei sogni, nessun riferimento all’infanzia delle persone che li raccontano, nessun diretto fine terapeutico: ci sono libere associazioni, rimandi, echi, scoperte di assonanze. Gli incontri (settimanali, ciascuno della durata di un’ora e mezza) sono “matrici”, fonti di sogni offerti al gruppo. Con un facilitatore (psichiatra o psicoterapeuta) che è ospite e insieme ospita e circa quindici partecipanti che sono seduti in cerchio, ma in genere di spalle, perche l’assenza di contano visivo ribadisce il concerto chiave del progetto: “la moneta di scambio è il sogno, non la relazione tra i sognatori”. Relazione già marchiata dall’appartenenza allo stesso contesto (L’Istituto Regina Elena), che fornisce al gruppo un serbatoio di immagini, tradizioni, linguaggi, leggende metropolitane.  
Al primo incontro è proposto un breve brano da leggere o un cancer movie, veicolo per fornire un modell0 ordinatore dell’esperienza e una o più metafore del viaggio attraverso la malattia. 
Alla fine degli incontri ognuno viene invitato a rielaborare la propria esperienza scrivendo in totale liberta una breve relazione che poi sarà analizzata dai facilitatori. “Un momento di elaborazione del lutto, un modo di conservare memoria di un percorso», si legge nel progetto. Ma anche la via per proporre nuovi percorsi possibili di lavoro e strumenti alternativi di cooperazione e di scambio interpersonale. Che torneranno utili anche per ammorbidire le tensioni e i conflitti tra pazienti e struttura: perche le domande presenti nell’istituzione, tra le pareti dell’ospedale, possono svilupparsi, emergere ed essere elaborate. 
Di Manuela Perrone