Fonte: Benecomune.net del 13/06/2016 – Uscire dalla paura significa ricominciare da noi, ripartire da quella briciola di umano che ancora c’è. Ripartire dal piccolo e averne cura. Che ognuno di noi possa uscire dalla caverna delle chat, del frammentario per recuperare la capacità di incontrare l’altro.
di Tonino Cantelmi
Abbiamo paura. E quando abbiamo paura cerchiamo protezione. Ma quale protezione, in una Europa percorsa da migliaia e migliaia di senza terra e senza identità, profughi, rifugiati e migranti, per lo più poveri, se non il vano tentativo di chiudere e chiudersi, anche attraverso muri, ma non di mattoni, almeno non solo, quanto piuttosto interiori? Certo riusciamo ancora a commuoverci, eppure sta succedendo qualcosa. Come scrisse Hilmann, già alcuni anni fa, i network telematici hanno soppiantato le reti umane e i network della solidarietà. Denuncio il deficit di umanità della postmodernità, quella narrata da Bauman quando ne descrive la liquidità e quella costruita da Steve Jobs e dai tanti artefici della rivoluzione digitale.
L’abbraccio fatale e ineludibile tra la liquidità e la rivoluzione digitale ha generato un mondo “occidentale” senza mappe, disorientato e in parte sempre meno abituato all’incontro, quello autentico, in un vortice di diminutio del tasso di umanità e di relazioni vere. E’ in questo deficit di umanità, confuso e contraddittorio, che albergano confini, muri, barriere, divieti di transito. E l’intolleranza invade anche i social. Si tratta di muri virtuali, fatti di post e tweet disgraziati. Una recentissima ricerca su due milioni di tweet italiani dimostra che quando la cronaca presenta un caso di intolleranza e lo condanna, sulla Rete si scatenano insulti razzisti, omofobi o comunque intolleranti, e i social anziché stigmatizzarli e sdegnarsi, li esaltano.
La mappatura dei tweet razzisti, di quelli contro gli immigrati o antisemiti, dei tanti offensivi per i disabili oppure omofobi o comunque incitanti all’odio, di questo mondo sommerso è sorprendente e riguarda tutta l’Italia, con picchi in Lombardia, a Roma e nel Lazio. Anche rispetto ai temi relativi alla islamofobia e all’immigrazione i dati sono inquietanti. Il picco contro i migranti si registra il 25 gennaio, durante il vertice UE su Schengen; l’antisemitismo in rete si scatena il 27 gennaio, proprio nella giornata della memoria contro l’olocausto. Insomma, ogni volta che la cronaca segnala qualcosa, in Rete si scatena il politicamente scorretto, l’insulto e l’intolleranza, una sorta di sfida al politicamente corretto e ai sentimenti buoni. Questa ricerca svela una sorta di controcultura dell’intolleranza, vero muro virtuale, autentica barriera all’accoglienza, molto più vivace e diffusa di quello che immaginiamo.
Se un politico o il Papa parlano di accoglienza, in Rete si scatena il ballo dell’intolleranza. Viene da chiedersi se la rappresentazione che emerge da questa ricerca di Vox- Osservatorio sui diritti, effettuata in collaborazione con alcune Università italiane, sia la vera fotografia dell’Italia. Tenderei purtroppo a rispondere di sì. Muri, barriere e frontiere sono dunque dentro di noi. Non stupisca quindi la proposta dell’isola: non quella dei famosi, ma quella proposta dal Ministro degli Esteri austriaco, Sebastian Kurz, che vorrebbe relegare i migranti su isole. E’ dunque l’intolleranza la vera risposta alla paura. Abbiamo paura perché vogliamo conservare i nostri privilegi e non siamo in grado di vedere nel dinamismo dei popoli una risorsa. Abbiamo paura perché abbiamo identità fragili e non sappiamo confrontarci con l’altro-da-noi. Abbiamo paura perché siamo vecchi e pigri e temiamo popoli giovani e attivi.
Abbiamo paura perché la nostra cultura ha rinnegato le nostre profonde radici identitarie religiose, immolate sull’altare del laicismo, e temiamo il suo definitivo sgretolamento se rapportata a culture che non rinunciano di certo alle proprie radici. Abbiamo paura perché siamo così poco aperti alla speranza da non fare figli e percepiamo la forza e la potenza dei popoli che, anche se miseri, fanno figli. Abbiamo paura perché stiamo costruendo una Europa depressa, che lotta per l’eutanasia e il suicidio, come fossero diritti, e non sappiamo capire chi lotta per la vita.
Abbiamo paura perché alla solidarietà e alla stretta di mano preferiamo Tinder e l’incontro occasionale e non sappiamo più assumerci la responsabilità dell’altro. Abbiamo paura perché stiamo crescendo una generazione di ragazzini e giovani mai così devastata dall’alcol e dalla droga, come narrano gli ultimi rapporti OCSE, e guardiamo allo specchio la nostra fragilità di adulti.
Abbiamo paura di noi stessi. E siamo lì, tentati di farla finita con l’Europa dei nobili principi, della solidarietà, del reciproco aiuto fra Stati. Stanchi e paralizzati, come Firs, il vecchio servitore del “Giardino dei ciliegi” di Cechov, osserviamo lo svuotamento, il decadimento e la fine di una epoca senza neanche capirla. Uscire dalla paura significa ricominciare da noi, ripartire da quella briciola di umano che ancora c’è, ripartire dal piccolo e averne cura. Che nessuno sia uno stanco e vecchio Firs, ma che ognuno di noi possa uscire dalla caverna delle chat, dei social e del frammentario per recuperare la capacità di incontrare l’altro. No all’Europa dell’eutanasia e della morte, si all’Europa della speranza e della vita. E dell’accoglienza.