Fonte: Agenzia Sir del 09/12/2020 – Sono attesi da oggi i primi ospiti “esterni” nel reparto Covid della Casa San Giuseppe del complesso Don Guanella a Roma, il primo reparto Covid della regione Lazio per pazienti con grave disabilità intellettiva. Nato per gli ospiti della struttura dedicata alla diagnosi e alla cura della disabilità mentale, da oggi accoglierà anche persone provenienti dalle proprie abitazioni o dimesse dagli ospedali.
“Vogliamo continuare ad essere una porta aperta sulla città. Per questo abbiamo risposto ad un’esigenza del territorio nel solco del carisma del nostro Fondatore: fare il bene ogni volta che è possibile”.
Don Fabio Lorenzetti, direttore del Centro di riabilitazione per disturbi del neurosviluppo dell’Opera Don Guanella a Roma, spiega al Sir i motivi che hanno condotto alla realizzazione del reparto Covid realizzato all’interno della Casa San Giuseppe che, autorizzato e accreditato dalla Regione Lazio, oggi apre i battenti anche a persone con disabilità intellettiva “esterne” alla struttura.
Il complesso Don Guanella, grande centro di 14 ettari immerso nel verde, da oltre 100 anni si occupa di disabilità intellettiva. Con le sue quattro case – San Giuseppe, Nazaret, Betania, Emmaus – accoglie giovani e adulti con disabilità mentale dedicandosi alla loro cura, assistenza e riabilitazione in regime residenziale (219 posti letto accreditati per pazienti di sesso maschile) e semiresidenziale (65 posti per uomini e donne, ogni giorno dalle 8:30 alle 16:30). Inoltre, in regime ambulatoriale segue una settantina di bambini e bambine, spiega il direttore operativo Francesco Cannella. Da oggi, nel reparto attrezzato per malati Covid all’interno di Casa San Giuseppe, troveranno accoglienza anche persone con disabilità intellettiva, positive al Sars-Cov-2.
E’ il primo Centro di riabilitazione territoriale dedicato al Covid della Regione Lazio, assicura Cannella. Da dove nasce l’idea? “Dall’esperienza maturata con un nostro ospite”, spiega il direttore operativo. Qualche tempo fa si è reso necessario l’invio in ospedale di un paziente con grave disabilità intellettiva, positivo al Covid, specificando che, una volta superato l’acuto e stabilizzate respirazione e condizioni cliniche, non sarebbe potuto rientrare fino a completa negatività. “Si tratta di un adulto senza famiglia, che è anche sotto la nostra tutela”. Tuttavia, dopo la stabilizzazione delle sue condizioni, questa persona non ha più voluto né mangiare, né bere, né farsi accudire.
“Non potevamo lasciarlo in ospedale – spiega Cannella – avrebbe rischiato di morire per ‘complicanze comportamentali’. Noi siamo la sua famiglia; così abbiamo deciso di organizzare un reparto ad hoc con medici h24 per riaccoglierlo e accogliere altri casi come il suo, che poi si sono puntualmente verificati”. Oltre agli aspetti logistici e pratici, il personale che su base volontaria si è offerto disponibile, è stato formato ad hoc. “Noi interveniamo quando la rete ospedaliera ha fatto la sua parte, ha stabilizzato gli aspetti legati alla saturazione e all’infezione in sé ma il paziente rimane positivo e bisogna gestirne l’isolamento”. E non è affatto semplice:
“Più migliorano i sintomi Covid, più la gestione diventa problematica”. Per non parlare del disabile intellettivo positivo, ma asintomatico, “che sentendosi bene non riesce a comprendere di essere malato, non sopporta la mascherina e ha difficoltà ad accettare l’isolamento”.
Da oggi, attraverso la Coa (Centrale operativa aziendale) gestita dalla Asl che ha il compito di verificare il fabbisogno del territorio e inviare le persone in base ai bisogni specifici, verranno accolti nella Casa San Giuseppe, inserita nel sistema regionale, pazienti Covid con disabilità intellettiva provenienti dalle proprie abitazioni o dimessi dagli ospedali ma non ancora in grado di rientrare a casa: 14 i posti in reparto che possono aumentare fino a 26 in caso di emergenza.
“Di fronte alla richiesta delle Asl – riprende don Lorenzetti – abbiamo pensato: non possiamo girarci dall’altra parte; se si può fare un po’ di bene, facciamolo, e facciamolo bene e con amore.
Don Guanella diceva: ‘In omnibus caritas’”. E infatti, in queste situazioni così delicate ed “estreme” c’è bisogno di un ambiente rassicurante, il più possibile simile all’atmosfera che si può trovare in famiglia, dove la prima “cura” sono il sorriso, il calore e l’attenzione alle relazioni primarie. “Nel Lazio siamo i primi – prosegue il sacerdote -, ed è un modo di abitare questa periferia esistenziale fatta di fragilità e di numeri troppo contenuti per avere una qualche rilevanza agli occhi dell’opinione pubblica; persone deboli anche dal punto di vista culturale, economico e sociale. Provenienti da famiglie, quando ne hanno, estremamente fragili e provate.
I nostri ospiti – quelli attuali e quelli che ci verranno inviati dall’esterno – sono praticamente degli ‘invisibili’’.
Del resto, conclude, “Don Guanella ci insegna che anche gli ‘ultimi’ hanno una loro dignità e una bellezza da tutelare, e il Vangelo ci assicura che sono i più vicini al cuore di Dio”.