Marzo-Aprile 2020 – Proponiamo una rassegna completa degli interventi dello psichiatra Tonino Cantelmi sulla pandemia di Coronavirus.
Emergenza Covid19 – Sportello radiofonico ADOC
Vatican News del 16/04/2020
Nella seconda puntata del programma “Hola mi gente-ciao amici” di Radio Vaticana, dedicata all’attuale momento di emergenza Covid-19, diversi specialisti dell’ADOC del settore sanitario hanno fornito importanti consigli su come affrontare la quarantena e proteggere la salute, in particolare degli anziani. Conduce Marisol Flores.
Ospiti:
Dott. Cosimo Gambardella,Fisiatra, Direttore Unità Operativa Riabilitazione Intensiva Azienda Ospedaliera San Camillo Roma;
Dott. Roberto Bonfili, Responsabile del Dipartimento Oculistica dell’ospedale San Camillo di Roma e Consigliere dell’Ordine dei Medici di Roma;
Dott. Tonino Cantelmi, Psichiatra, Presidente dell’Istituto Italiano di terapia cognitivo interpersonale e professoredi Psicopatologia presso la Pontificia Università Gregoriana.
Min. 18:08 intervista al prof. Cantelmi
Coronavirus: Operatori sociosanitari eroi o untori? depressione (50%), ansia (45%) e insonnia (34%). Serve supporto psicosociale
Fonte: Salute Domani del 04/04/2020
Gli operatori sociosanitari rappresentano, a detta dello psichiatra, una delle categorie che necessita’ di supporto psicosociale immediato.
A lanciare l’allarme è Tonino Cantelmi, presidente dell’Istituto di terapia cognitivo-interpersonale (Itci) di Roma e coautore, con Emiliano Lambiase, dello studio ‘Covid-19: impatto sulla salute mentale e supporto psicosociale‘.
“In qualche modo chi sta pagando un prezzo molto alto in termini di stigma sono gli operatori sociosanitari – ripete Cantelmi – che se da un lato vengono esaltati, ammirati, quasi vissuti come degli eroi, dall’altro rischiano di essere gli untori e come tali possono essere vissuti dai familiari o dalle persone conviventi. Non solo stanno svolgendo un lavoro enorme, ma devono gestire un trauma incredibile, perche’ vedono morire persone. In aggiunta a questo, sono costretti a un isolamento affettivo e stanno in quarantena dentro la loro stessa casa”. È una fotografia abbastanza allarmante, quella scattata da Cantelmi, che tuttavia non viene dal nulla.
“Abbiamo molti studi condotti nel mondo in situazioni simili al Covid-19, come la Sars o altre epidemie, che evidenziano come gli operatori sociosanitari impegnati in prima linea siano a rischio per la loro salute mentale e che nel tempo – continua Cantelmi – possono sviluppare un disturbo da trauma che si puo’ manifestare negli anni successivi. Il disagio si concretizza in disturbi dell’umore e reazioni ansiose connesse a frammenti di vissuti traumatici che si riattivano durante i periodi successivi”.
L’evidenza si ritrova nel recentissimo studio pubblicato sul Journal of American Medical Association, basato su un’indagine svolta dal 29 gennaio al 3 febbraio e relativa alla salute mentale di 1.257 operatori sanitari che hanno assistito pazienti affetti da Covid-19 in 34 ospedali della Cina”. I risultati non sono confortanti- si legge nello studio di Cantelmi – gran parte di essi riferisce di sperimentare sintomi di depressione (50%), ansia (45%), insonnia (34%) e distress (71,5%).
Il personale infermieristico, poi, riporta sintomi particolarmente gravi e forse questo non sorprende, dato che sono maggiormente a contatto con i pazienti – sottolinea lo psichiatra – aumentando quindi il rischio di contagio, sono a piu’ diretto contatto con la sofferenza e devono esercitare costantemente la compassione mentre contengono i propri sentimenti. Gli operatori di prima linea e quelli di Wuhan, epicentro dell’epidemia originale, hanno manifestato un carico psicologico maggiore rispetto agli operatori sanitari cinesi piu’ lontani dall’epicentro”.
“Ricordiamo che molti operatori sociosanitari sperimentano un isolamento ulteriore – precisa lo psichiatra – nel senso che non vivono con le loro famiglie e sono costretti a stare per conto loro. Alcuni di questi hanno creato dei gruppi e vivono nello stesso edificio. Nel Lazio ci sono delle strutture per disabili, ad esempio, ed alcuni operatori si sono autoconfinati li’. In qualche modo chi sta pagando un prezzo molto alto in termini di stigma sono gli operatori sociosanitari – ripete Cantelmi – che se da un lato vengono esaltati, ammirati, quasi vissuti come degli eroi, dall’altro rischiano di essere gli untori e come tali possono essere vissuti dai familiari o dalle persone conviventi. Non solo stanno svolgendo un lavoro enorme, ma devono gestire un trauma incredibile, perche’ vedono morire persone. In aggiunta a questo, sono costretti a un isolamento affettivo e stanno in quarantena dentro la loro stessa casa”.
Un altro studio rileva, inoltre, che durante “l’epidemia di Sars del 2003, gli operatori sanitari temevano di infettare la famiglia o gli amici e si sentivano stigmatizzati perche’ erano in stretto contatto con pazienti malati. Hanno sperimentato uno stress significativo e a lungo termine. Paure simili stanno probabilmente contribuendo al disagio degli operatori sanitari impegnati ora in Italia, oltre all’ovvia preoccupazione di correre un rischio superiore alla media di contrarre Covid-19”. Dunque una conseguenza negativa inattesa per la categoria degli operatori sanitari e’ proprio lo stigma.
“Circa il 20% degli operatori sanitari coinvolti nell’epidemia di Sars a Taiwan ha avvertito stigmatizzazione e rifiuto da parte del proprio vicinato. A Singapore – spiega Cantelmi – il 49% degli operatori sanitari durante l’epidemia di Sars ha subito stigmatizzazione sociale, a causa del proprio lavoro. Allo stesso modo, le infermiere coreane che lavorano negli ospedali con pazienti con Mers-CoV sono state messe a distanza dai loro cari (ad esempio famiglia o amici) e gli e’ stato vietato l’uso di ascensori nei loro palazzi, e persino ai loro figli non e’ stato permesso di frequentare asili e scuole. Esistono anche alcune prove empiriche di stigma tra i principali operatori sanitari durante l’epidemia di Sars a Singapore”.
“L’appello che abbiamo rivolto, inviando questo studio a tutte le autorita’, e’ di attivare un supporto psicosociale immediato a livello nazionale. Innanzitutto per le categorie piu’ a rischio, ovvero gli operatori sociosanitari coinvolti nel Covid, i parenti delle vittime e i sopravvissuti. Successivamente dobbiamo immaginare di fornirlo a chiunque ne abbia bisogno e in modo gratuito. Dobbiamo costruire una rete di persone disponibili ad offrire un sostegno psicosociale.
Coronavirus, lo psichiatra: “Serve una data per la fine dell’isolamento, non averla crea ansia”
Fonte: DIRE del 03/04/2020
“Fare una previsione su quando potrà finire la quarantena può aiutare le persone a gestire meglio questo stato di tensione che vivono”, dice lo psichiatra Tonino Cantelmi
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Non solo la paura del contagio o il trauma di un caro che subisce il dramma della terapia intensiva, o ancor peggio la morte, ma anche il distanziamento sociale è un evento stressante e, come tale, è un fattore di rischio per la salute psicofisica delle persone. “Il cambio di stile di vita all’inizio può essere accettato più facilmente, ma nel tempo diventa molto stressante. Un vero fattore di rischio su cui le autorità dovrebbero riflettere è l’incertezza”. A dirlo è Tonino Cantelmi, presidente dell’Istituto di terapia cognitivo-interpersonale (Itci) di Roma.
“È vero che nessuno sia in grado di definire quando e come usciremo da questa situazione- continua lo psichiatra- ma fare una previsione può aiutare le persone a gestire meglio questo stato di tensione che vivono. Il fatto che ogni settimana ci si riaggiorni per la settimana successiva senza una proiezione, un qualcosa che ci dia una direzione, crea molto sconcerto. Tutti gli studi sull’isolamento dimostrano che le persone accettano l’isolamento abbastanza bene se sanno quando più o meno terminerà. Il generare incertezza eccessiva è un punto di rischio molto alto”.
Cantelmi è abbastanza sicuro che ci siano delle “proiezioni su cui attestarci. Non c’è nulla di male nel fare una previsione anche se si dovesse rivelare fallace, ma farebbe stare più tranquille le persone il sapere che c’è un tempo e che poi ne seguirà un altro”. Per supportare gli italiani l’Itci ha realizzato molte iniziative per contrastare la solitudine e il senso di precarietà dovute a questo periodo particolarmente difficile. Da quelle nazionali per gli adolescenti con appuntamenti pomeridiani, fino ad arrivare a un sostegno specifico dei pazienti in quarantena certificata.
Coronavirus, rischio stigma per guariti, sociosanitari e parenti delle vittime
Fonte: affaritaliani del 03/04/2020
Il presidente dell’Istituto di terapia cognitivo-interpersonale (Itci) di Roma Tonino Cantelmi ha riferito: “I guariti diventeranno la nuova casta. Stigma per sociosanitari, a rischio anche sopravvissuti e parenti delle vittime, il supporto sia nazionale”
“I guariti dall’infezione Coronavirus saranno la nuova casta, coloro che potranno permettersi di essere immuni, saranno i privilegiati e quindi verranno guardati con molta invidia. Invece, lo stigma riguarda tutti coloro che sono a rischio: le persone che lavorano in ambienti Covid, come gli operatori sociosanitari. Questi hanno già difficoltà a trovare case in affitto in questo momento”. A dirlo Tonino Cantelmi, presidente dell’Istituto di terapia cognitivo-interpersonale (Itci) di Roma e coautore, con Emiliano Lambiase, dello studio ‘Covid-19: impatto sulla salute mentale e supporto psicosociale.
“Ricordiamo che molti operatori sociosanitari sperimentano un isolamento ulteriore – precisa lo psichiatra – nel senso che non vivono con le loro famiglie e sono costretti a stare per conto loro. Alcuni di questi hanno creato dei gruppi e vivono nello stesso edificio. Nel Lazio ci sono delle strutture per disabili, ad esempio, ed alcuni operatori si sono autoconfinati lì. In qualche modo chi sta pagando un prezzo molto alto in termini di stigma sono gli operatori sociosanitari – ripete Cantelmi – che se da un lato vengono esaltati, ammirati, quasi vissuti come degli eroi, dall’altro rischiano di essere gli untori e come tali possono essere vissuti dai familiari o dalle persone conviventi. Non solo stanno svolgendo un lavoro enorme, ma devono gestire un trauma incredibile, perchè vedono morire persone. In aggiunta a questo, sono costretti a un isolamento affettivo e stanno in quarantena dentro la loro stessa casa”.
Una fotografia abbastanza allarmante, quella scattata da Cantelmi, che tuttavia non viene dal nulla. “Abbiamo molti studi condotti nel mondo in situazioni simili al COVID-19, come la Sars o altre epidemie, che evidenziano come gli operatori sociosanitari impegnati in prima linea siano a rischio per la loro salute mentale e che nel tempo – continua Cantelmi – possono sviluppare un disturbo da trauma che si può manifestare negli anni successivi. Il disagio si concretizza in disturbi dell’umore e reazioni ansiose connesse a frammenti di vissuti traumatici che si riattivano durante i periodi successivi“.
L’evidenza si ritrova nel recentissimo studio pubblicato sul Journal of American Medical Association, basato su un’indagine svolta dal 29 gennaio al 3 febbraio e relativa alla salute mentale di 1.257 operatori sanitari che hanno assistito pazienti affetti da Covid-19 in 34 ospedali della Cina”. I risultati non sono confortanti- si legge nello studio di Cantelmi – gran parte di essi riferisce di sperimentare sintomi di depressione (50%), ansia (45%), insonnia (34%) e distress (71,5%). Il personale infermieristico, poi, riporta sintomi particolarmente gravi e forse questo non sorprende, dato che sono maggiormente a contatto con i pazienti – sottolinea lo psichiatra – aumentando quindi il rischio di contagio, sono a più diretto contatto con la sofferenza e devono esercitare costantemente la compassione mentre contengono i propri sentimenti. Gli operatori di prima linea e quelli di Wuhan, epicentro dell’epidemia originale, hanno manifestato un carico psicologico maggiore rispetto agli operatori sanitari cinesi più lontani dall’epicentro”.
Conseguenza negativa per la categoria degli operatori sanitari: lo stigma
Un altro studio rileva, inoltre, che durante “l’epidemia di Sars del 2003, gli operatori sanitari temevano di infettare la famiglia o gli amici e si sentivano stigmatizzati perchè erano in stretto contatto con pazienti malati. Hanno sperimentato uno stress significativo e a lungo termine. Paure simili stanno probabilmente contribuendo al disagio degli operatori sanitari impegnati ora in Italia, oltre all’ovvia preoccupazione di correre un rischio superiore alla media di contrarre Covid-19”.
Dunque una conseguenza negativa inattesa per la categoria degli operatori sanitari è proprio lo stigma. Circa il 20% degli operatori sanitari coinvolti nell’epidemia di Sars a Taiwan ha avvertito stigmatizzazione e rifiuto da parte del proprio vicinato. A Singapore – spiega Cantelmi – il 49% degli operatori sanitari durante l’epidemia di Sars ha subito stigmatizzazione sociale a causa del proprio lavoro. Allo stesso modo, le infermiere coreane che lavorano negli ospedali con pazienti con Mers-CoV sono state messe a distanza dai loro cari (ad esempio famiglia o amici) e gli è stato vietato l’uso di ascensori nei loro palazzi, e persino ai loro figli non è stato permesso di frequentare asili e scuole. Esistono anche alcune prove empiriche di stigma tra i principali operatori sanitari durante l’epidemia di Sars a Singapore”.
Gli operatori sociosanitari rappresentano, a detta dello psichiatra, una delle categorie che necessità di supporto psicosociale immediato. “Il mio istituto è stato chiamato dalla Conferenza episcopale italiana per sostenere i cappellani ospedalieri. Quei preti che prestano servizio in ospedale e che frequentano le sale di rianimazione e luoghi affini, e che sono soggetti anche loro a un vissuto traumatico. Questo supporto deve essere esteso anche agli operatori sociosanitari”. Nel dettaglio, gli effetti psicologici di questi traumi possono essere di due tipi: “Ci sono degli operatori che stringendo i denti vanno avanti, ma soffrono moltissimo e già presentano sintomi in acuto. Tuttavia, la maggior parte di questi soggetti presenterà sintomi nel tempo, nel quinquennio successivo. I dati dicono che se si intervenisse adesso i nostri operatori avrebbero un grande beneficio in termini di salute mentale subito, ma soprattutto nel futuro”.
“Chiediamo di attivare un supporto psicosociale immediato a livello nazionale”
A rischio di sviluppare conseguenze psicologiche dall’emergenza Coronavirus sono anche altre categorie di persone: i sopravvissuti e i parenti delle vittime. “Coloro che hanno sperimentato la rianimazione, la morte in qualche modo, e poi sono chiamati a gestire il senso di sopravvivenza. Anche questi andrebbero aiutati subito. I parenti delle persone decedute, invece, devono essere aiutate ad elaborare il lutto, dal momento che sono venuti meno i riti: i funerali, l’accompagnamento e la consolazione. Anche questo è un evento ulteriormente traumatico”, aggiunge il presidente dell’Itci. In verità a rischio per la salute mentale sembra essere tutta la popolazione in generale, sia per i fenomeni di isolamento e distanziamento sociale, che in relazione al trauma psicologico della paura di infettarsi.
“L’appello che abbiamo rivolto, inviando questo studio a tutte le autorità, è di attivare un supporto psicosociale immediato a livello nazionale. Innanzitutto per le categorie più a rischio, ovvero gli operatori sociosanitari coinvolti nel Covid, i parenti delle vittime e i sopravvissuti. Successivamente dobbiamo immaginare di fornirlo a chiunque ne abbia bisogno e in modo gratuito. Dobbiamo costruire una rete di persone disponibili ad offrire un sostegno psicosociale. Il mio istituto lo sta facendo, ma si potrebbe costruire una vera rete di intervento organizzando un coordinamento nazionale delle scuole di specializzazione di psicoterapia – propone Cantelmi – che mettano a disposizione i loro psicoterapeuti. Tutta l’Italia è in gioco e ci vogliono molte risorse – conclude – non sarà difficile per la Protezione civile attivare una rete di scuole specializzazione che forniscano elenchi di psicoterapeuti disponibili”.
Tonino Cantelmi: dare speranza nell’angoscia
Fonte: korazym.org del 03/04/2020
(…)
Al prof. Tonino Cantelmi, psichiatra e psicoterapeuta, abbiamo chiesto di illustrare quale ‘tempo’ ci attende dopo l’emergenza del coronavirus: “A mio parere nulla sarà più come prima. La pandemia COVID-19 segna il cambiamento d’epoca di cui ci ha parlato papa Francesco.
Questi mesi e forse anche più costituiscono un tempo di profondo cambiamento sociale ed economico, oltre che psicologico. Sociale, perché saremo costretti a rivedere modelli di comportamento, assetti economici, innovazioni irreversibili. Psicologico, perché l’esplosione della tecnomediazione della relazione che caratterizza questo periodo farà sì che la rivoluzione digitale possa compiere un passo ulteriore, verso cioè forme più esasperate di tecnomediazione della relazione”.
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Coronavirus. Cappellani ospedalieri sotto pressione, per loro un «servizio di ascolto»
Fonte: Avvenire del 31/03/2020
L’Ufficio Cei per la Pastorale della salute e l’Associazione italiana Psicologi e psichiatri hanno costituito un Servizio di accompagnamento psicologico per chi svolge servizio pastorale in corsia.
Sotto pressione in queste settimane non ci sono solamente gli operatori sanitari: in corsie e reparti accanto a loro operano i cappellani ospedalieri, per i quali non ci sono turni né riposi ma un servizio continuo che è il riflesso della loro vocazione. Anche sacerdoti e religiosi tuttavia subiscono lo stress emotivo e fisico di questi giorni. A loro ha dunque pensato l’Ufficio nazionale per la Pastorale della salute che in collaborazione con l’Associazione italiana Psicologi e psichiatri propone a titolo gratuito il nuovo «Servizio di ascolto e accompagnamento psicologico per i cappellani ospedalieri e loro collaboratori», un forma di «aiuto a una parte di Chiesa così esposta in prima linea nella lotta al Covid-19 – informa il dell’Ufficio Cei diretto da don Massimo Angelelli – di fronte alle nuove modalità in cui lo stress si sta manifestando nell’accompagnare spiritualmente il malato, i suoi familiari, gli operatori sanitari, altri operatori pastorali».
Con questo Servizio si vuole «creare un’occasione di dialogo per gestire l’impatto emotivo e così disinnescare la carica potenzialmente traumatica» dell’esperienza che i cappellani stanno vivendo. Una forma di «attenzione specifica» che «può e deve essere indirizzata ai curanti» – e il cappellano è a tutti gli effetti inserito nell’équipe di cura -, cioè «a chi mai come oggi continua a accompagnare i fratelli (il malato, l’operatore sanitario) impegnati al confine tra la vita e la morte, o chi vive un tipo di lutto» senza precedenti inesistente «perché oggi vengono negati vicinanza, ultimo saluto, preghiera condivisa dei familiari».
Il servizio di ascolto e dialogo proposto da Ufficio Cei per la Pastorale della salute e Associazione italiana Piscologi e psichiatri è offerto dall’Itci (Istituto di Terapia cognitiva interpersolane) diretto da Tonino Cantelmi, clinico e diacono. «L’attività di sostegno – spiega l’Ufficio nazionale – si svolge tipicamente nella modalità della video-chiamata; è indirizzata ai cappellani e agli assistenti religiosi di strutture sanitarie e socio-sanitarie» e «si unisce in maniera complementare alla quotidiana vicinanza espressa da una preghiera intensa, condivisa e fortemente sentita da ciascuno di noi» cappellani degli ospedali italiani.
Si canta sul balcone, ma la speranza è in casa dove si litiga
Fonte: Aleteia del 31/03/2020
Sulla scorta di una riflessione dello psichiatra cattolico Tonino Cantelmi, guardiamo dentro casa nostra: non è uno scandalo riconoscere che i rapporti domestici si fanno tesi, anzi si apre un orizzonte fondato sul perdono e non sulla nostra autosufficienza.
(…)
Ho trovato una riflessione che mi incoraggia molto, proprio perché fondata non sull’astrattezza di un motto, ma sul volto più struccato e attuale della famiglia : così vicini, da voler talvolta scaraventare se stessi a mille miglia di distanza. Tonino Cantelmi, psichiatra e presidente dell’Aippc (Associazione italiana psicologi e psichiatri cattolici), ha commentato per l’agenzia SIR le parole dell’omelia del Papa a Santa Marta del 21 marzo, e ha posto una domanda che ci interpella senza perifrasi:
Papa Francesco coglie il punto centrale, cioé quello dell’orizzonte. Quali orizzonti abbiamo? L’orizzonte concreto del balcone? Quello dell’economia? Quello del tributo delle vite umane? (da Agensir)
Per molti versi l’orizzonte è proprio quello che ci manca, siamo immersi fino al collo in una situazione che ci lascia nella nebbia quanto a sintesi complessive, conclusioni e interpretazioni a grande spettro. Capiremo l’orizzonte storico generale solo a posteriori, ma questo non significa che ci sia precluso un orizzonte costruttivo di senso anche adesso, ma di certo non lo si ammira andando sul balcone. L’idillio della famiglia che grazie alla quarantena riscopre una dimensione lenta, pacata, sorridente è finito in fretta. Perché i rapporti sono vivi e incandescenti. Perché le relazioni sono difficili (… non per niente il diavolo ha scelto la via facile della separazione; mentre i veri coraggiosi – si sa – sudano sui legami). Per un po’ ci ha tenuto su di morale l’idea di riscoprire i vecchi giochi da tavolo, di cucinare assieme e seguire tutorial su come ravvivare la vita da quarantena. Posso serenamente dire che tutte le strategie di team building franano al cospetto di quella strana squadra che è la famiglia.
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Coronavirus. Cantelmi: “Il Papa coglie il punto centrale. Dall’orizzonte del balcone a quello della speranza”
Fonte: Agenzia SIR del 30/03/2020
“Papa Francesco coglie il punto centrale, cioè quello dell’orizzonte. Quali orizzonti abbiamo? L’orizzonte concreto del balcone? Quello dell’economia? Quello del tributo delle vite umane?”. A porre l’interrogativo è Tonino Cantelmi, psichiatra e presidente dell’Aippc.
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