Fonte: la Repubblica del 17/09/2019 – “L’ansia è uno stato di attivazione psicofisico: se è ‘giusta’ è come un energetico, se è ‘troppa’ può divenire devastante” spiega Tonino Cantelmi, psichiatra e psicoterapeuta. Una patologia in crescita anche tra i bambini. Più di 500mila italiani soffrono di crisi di panico.
Quante gare perse, bruciate, “giocate” male per quel maledetto mal di pancia che ti taglia le gambe, per quell’ansia che ti prende la bocca dello stomaco e che non ti fa respirare. Ti alleni, corri, sudi, stai attento al sonno, a quello che mangi e bevi e poi arrivi lì scarico, senza forze. Stanco ben prima dello sparo, già dal riscaldamento. Perché l’allenamento non è tutto: l’allenamento allena il corpo, ma la mente e il cuore vogliono altro. Perché se gli allenamenti alla fine si assomigliano, le gare sono una diversa dall’altra. “Ogni gara è a sé” è la frase che ripetono gli allenatori a ogni sconfitta ma anche ad ogni vittoria. Perché vincere è facile, perdere è più difficile, perché il giorno dopo si torna agli allenamenti con un’autostima e una sicurezza vacillanti. E alla gara successiva ci si sente già sconfitti, anzi no, si ha paura di rivivere la sconfitta, gli altri sembrano avere due ruote invece che due gambe e l’ansia divora, attanaglia lo stomaco, le viscere. E ti ritrovi lì a sentirti un pulcino e non un gallo combattente.
Quell’ansia può diventare paura, nemica se non usata per tirare fuori la marcia in più, se invece di spingere ad agire, a migliorare, blocca, impedisce di respirare, di pensare, di correre. Ma può diventare un’amica se incanalata e plasmata. Questo si può fare solo strada facendo, con l’esperienza e con un allenatore (e con uno specialista se necessario) che sappia curare l’aspetto umano, comprendere i limiti dell’atleta, le sue incertezze e le sue fragilità, non considerandolo una macchina, ma una creatura fatta di muscoli, tendini, legamenti, cuore, cervello, emozioni.
L’ansia non prende solo per la paura di perdere ma anche per quella di vincere: una volta che si è abituati a salire sul gradino più alto del podio subentra la paura di deludere chi ti sta intorno, dalla squadra all’allenatore, ai genitori. Insomma l’ansia da prestazione sono dietro l’angolo e possono essere i nostri peggiori avversari, perché invisibili e nascosti in noi.
“L’ansia è uno stato di attivazione psicofisico: se è ‘giusta’ è come un energetico, se è ‘troppa’ può divenire devastante” spiega Tonino Cantelmi, psichiatra e psicoterapeuta. “Ci sono persone che non hanno ansia: sono quelle che emettono comportamenti antisociali, non provano sensi di colpa e non hanno paura rispetto al loro agire. Ci sono persone che hanno troppa ansia: quelle paralizzate dal panico, per esempio, quelle prigioniere della cosiddetta ansia di salute, cioè una forma di ipocondria che li spinge ad osservare ogni cambiamento del loro corpo e a viverlo come una malattia devastante. L’ansia è democratica: riguarda ricchi e poveri, colti e ignoranti, giovani ed anziani. Ma c’è un dato che ci impressiona: l’incremento dei disturbi di ansia nei bambini. L’infanzia spensierata sembra un pallido ricordo”.
Un recente studio, presentato in agosto alla convention annuale della American Psychological Association dalla psicologa ed editorialista del New York Times Lisa Damour – autrice del libro ‘Under pression: confronting the epidemic of stress and anxiety in girls’ – dimostra come una sana ansia aiuti a raggiungere risultati e obiettivi nella vita, specialmente nella giovane età. A patto che si tratti di un’ansia moderata e non patologica, che invece può rivelarsi, appunto, distruttiva. In Italia più di 500.000 persone soffrono di attacchi di panico, una delle forme più dolorose di patologia ansiosa.
“L’ansia è determinata da componenti genetiche, ma anche da eventi di vita che ci hanno impaurito, i traumi. Dunque le persone predisposte all’ansia hanno un mix tra genetica ed esperienze negative – continua Cantelmi – . Il precursore dell’ansia è lo stato di preoccupazione, la continua rimuginazione, il focalizzarsi su dettagli insignificanti. L’ansia è una condizione estremamente interferente sulla qualità della performance per motivi soprattutto psicologici. Gli sportivi troppo ansiosi fanno previsioni negative, incrementano gli indici di pessimismo e di valutazione negativa”.
Controllo del respiro e dei pensieri negativi, training autogeno e piccoli rituali pre-gara aiutano nella gestione dell’ansia da prestazione e a trasformarla in una fonte di energia. Quando si è ben preparati, allenati, riposati, non c’è nulla di cui preoccuparsi: basta credere in se stessi e non dubitare mai delle proprie capacità. Sembra facile a dirsi, farlo è un’altra cosa.
Ma quando si capisce che l’ansia non è produttiva cosa si può fare? “Lo stato di preoccupazione è un indicatore negativo rispetto alla performance sportiva. Inoltre è un fenomeno con risvolti fisici, con ulteriori effetti negativi: lo stato di tensione muscolare genera una condizione di ulteriore difficoltà – dice Cantelmi. Quando l’ansia diventa negativa occorre parlare con qualcuno, non con un amico però, ma con un vero terapeuta: direi di rivolgersi a psichiatri e psicoterapeuti ad orientamento cognitivo. In definitiva l’ansia e la paura sono nemici degli atleti. Esiste una sola ansia utile: quella generata dal desiderio di sfida, di superamento di se stessi, di raggiungimento di traguardi ulteriori. Ma questa ansia si chiama grinta, motivazione, desiderio e sogno”.